Le tante anime di Paola Guerra
Intervista alla regista-attrice-autrice e formatrice del Teatro La Ribalta

Attrice, regista, autrice, anima formativa del Teatro La Ribalta-Kunst der Vielfalt: Paola Guerra è una delle più solide pedagogiste teatrali della nostra provincia, tanto all’interno della compagnia di cui è colonna portante insieme ad Antonio Viganò e Paolo Grossi, quanto nell’ambito delle diverse scuole con cui collabora, in particolare per quanto riguarda l’attività teatrale del ciclo primario, amatissima da bambini e docenti.
Il suo lavoro con gli attori di-versi di Teatro La Ribalta-Kunst der Vielfalt è quotidiano ed è intessuto di pratica performativa e preperformativa, di palco e tournée, di collaborazione ai diversi progetti scenici, di condivisione e affetto che contribuiscono a rendere questo ensemble – oltre a una realtà teatrale pluripremiata – anche così peculiare e così famigliare. Entriamo, grazie alle sue parole, nel suo percorso e nella sua missione artistica.
Partiamo dai tuoi esordi teatrali...
Ho iniziato come attrice: il mio percorso degli esordi è stato legato principalmente al Terzo Teatro, in particolare con il Teatro Laboratorio di Jerzy Grotowski in Polonia e, successivamente, lavorando con César Brie, che considero tutt’ora un maestro importante per la mia carriera così come per la mia vita. Dopo una pausa per i figli, ho avuto la fortuna di incontrare Patrizia Trincanato del Comune di Bolzano, che diede l’avvio al meraviglioso percorso del Teatro nella Scuola, successivamente ribattezzato Theatraki (Teatro-Ragazzi-Kinder). Ho capito quanto fosse una cosa che sapevo e che mi piaceva fare. Ho sempre considerato fare teatro coi bambini non lontano dal mio percorso precedente: in qualche modo collegato all’idea del teatro soprattutto come esperienza, come emozione. Sono stata presidente per 10 anni di questa associazione, che ho poi in parte lasciato per dedicarmi al Teatro La Ribalta di Antonio Viganò, benché continui tutt’ora a lavorare con alcuni insegnanti e con alcune scuole.
Non mi è stato subito facile lavorare con l’handicap: avevo avuto altre esperienze fino a quel momento, e ci ho messo un po’ a capire come quello che io potevo dare riuscisse a creare una relazione teatrale nuova e importante. Ora il mio percorso è certamente più solido, ma il mio modo di concepire il teatro è comunque, da allora, sempre rimasto legato – con i bambini come con gli attori della Ribalta – all’esperienza emozionale e, soprattutto, alla relazione reciproca che rimane all’interno di quanto si è creato. Il teatro è teatro, non è fatto di compartimenti stagni, se lo si legge attraverso la lente della scoperta di sé.
Oltre ad essere attrice, negli anni hai approfondito l’impegno nella pedagogia teatrale, con le scuole e – con risultati eccellenti – con gli attori della Compagnia La Ribalta-Kunst der Vielfalt. Come è nata la collaborazione con Viganò e come vi siete allineati per costituire una compagnia di grandissimo pregio artistico, che ottiene ogni anno sempre più riconoscimenti nazionali e internazionali?
Antonio Viganò è arrivato a Bolzano proprio chiamato da me e da Franca Marchetto per condurre un laboratorio, un aggiornamento, con gli attori e i pedagogisti di Theatraki. È stato subito chiaro quanto fosse vicino alla nostra formazione e alla nostra sensibilità artistica.
La prima esperienza insieme fu un bellissimo lavoro con i miei ragazzi e con tutti gli operatori di Theatraki, Jeu d’enfant, ispirato a un quadro raffigurante bambini che giocano: lo rappresentammo nel Chiostro dei domenicani. In seguito proponemmo La zattera della Medusa, dal famoso quadro del Louvre, che parlava di adolescenza; poi Nati sotto contraria stella, su Romeo e Giulietta, con i ragazzi “minori non accompagnati”; fino ad approdare a un lavoro sulla vecchiaia nella nostra epoca. Dopo Impronte dell’anima – assieme alla Lebenshilfe – che ha avuto un grandissimo successo, Antonio ha deciso di trasferirsi a Bolzano e abbiamo fondato il Teatro La Ribalta, anche con Alexandra Hofer. Da allora tutto ciò che è avvenuto è stato quasi un regalo: grazie alla grande volontà e artisticità di Antonio – dal quale sicuramente ho imparato molto; ma credo che anche lui abbia imparato molto da me, soprattutto sulla gestione della compagnia – la nostra realtà è cresciuta, si è consolidata ed ha raggiunto risultati importanti.
Il tuo rapporto con gli attori è dentro e fuori dalla scena, nella pratica teatrale quotidiana e nell’accompagnamento in tournée, anche quando non sei sul palco come attrice.
Lavorare con il La Ribalta è fare tutto: non solo regie, prove e spettacoli, ma anche aiutare a caricare e scaricare le scene, guidare i furgoni e andare in tournée. Io seguo tantissimo le tournée della compagnia, anche quando non sono direttamente in scena: significa avere una relazione stretta e continua con gli attori, anche rispetto alla quotidianità del lavoro. In particolare, è essenziale la guida all’autonomia individuale, perché non esiste possibilità di lavoro con la disabilità se, di pari passo non si lavora sull’autonomia: è l’ingrediente che fa crescere enormemente questi attori, sia dal punto di vista personale, sia dal punto di vista attoriale. Ciascuno scopre cose di sé che prima non conosceva. A tal proposito, è essenziale la relazione con le famiglie, da sempre fondamentali: le famiglie sono cofondatrici del Teatro La Ribalta, che è una cooperativa sociale. È stata dunque una “partenza tutti insieme”: non solo Antonio, io e gli attori, ma anche le loro famiglie, che hanno creduto fermamente in questo progetto. Uno dei miei compiti è mantenere questa relazione, capire dove ci si trova dal punto di vista tanto artistico quanto evolutivo; chi può fare, chi può dare, chi ha bisogno di tempi differenti.
Sei stata autrice di un libro, “Superabile”, una riflessione umana e poetica che parte da uno specifico spettacolo. Ce ne parli?
Tutto il progetto Superabile nasce come un racconto, un’idea, un’esperienza visiva sulla disabilità. Antonio Viganò ha costruito lo spettacolo sulla possibilità di proiettare su uno schermo, tramite una lavagna luminosa, i disegni di Michele Eynard, con cui i nostri due attori in carrozzina, Mathias Dallinger e Melanie Goldner, potessero interagire. Il copione di Superabile si basa interamente sui loro racconti, che riguardano soprattutto il modo in cui percepiamo la disabilità. Cosa vediamo, quando guardiamo un essere umano in carrozzina? L’ultima battuta dello spettacolo recita: “Ma voi che mi guardate, cosa vedete?”. Ecco, noi, il pubblico, cosa vediamo quando assistiamo allo spettacolo Superabile (che ha, al momento, raggiunto le 250 repliche, in tutta Italia e all’estero)? Da questo progetto, nel farsi del suo percorso, è nato un libro di cui ho scritto il testo, corredato dai disegni di Michele Eynard. Mi sono messa dalla parte dello spettatore per capire che cosa io stessa vedessi, e cosa non riuscissi a vedere.
È uno spettacolo godibilissimo per ogni fascia d’età, che può davvero interpellare tutti: il tema centrale è il tema dell’altro. In uno dei momenti, si parla della “gara del vado bene così”: siccome non andiamo mai davvero “bene così”, soprattutto in quest’epoca – e soprattutto per quanto riguarda i ragazzi, ma non solo – riflettere sullo sguardo che diamo a noi stessi allo specchio e che offriamo al di fuori è un atto importante che non riguarda solo la disabilità, ma la comprensione, l’accettazione, il rispetto, la relazione, in noi e fuori di noi.
[Alessandra Limetti]
















































































































































































