CULTURE

La musica secondo Paolo Izzo
Intervista al creatore della casa discografica Riff Records

Bolzanino, classe 1977, operatore culturale, Paolo Izzo è il patron della Riff Records, prolifica casa discografica altoatesina, ma di respiro internazionale, che dal 2005 ha prodotto ben settanta album. Band locali come Akasha e Ferbegy sono nel suo catalogo e non mancano collaborazioni con celebri artisti della scena italiana come Cesare Malfatti e Alex Cremonesi dei La Crus.

Un nome estero? Addirittura Jochen Arbeit, degli iconici Einstürzende Neubauten. Incontriamo Paolo Izzo per conoscere la storia della sua Riff Records e capire quanto “razionale spirito imprenditoriale” e quanta “folle passione” ci possano essere dietro l’idea di produrre dischi in un’epoca in cui a musica viaggia immateriale, e spesso gratis, nella Rete.

Quali sono le sfide che un discografico contemporaneo deve affrontare?
In questi ultimi decenni, soprattutto da quando social network e programmi televisivi a carattere musicale occupano un posto così ingombrante nelle nostre vite, il mondo della discografia viaggia a velocità senza precedenti. Si parla di 60mila nuove canzoni ogni giorno. Quindi la sfida più grande per un discografico è quello di permettere ai propri artisti di farsi distinguere tra tutto questo nuovo materiale. Riuscire ad aprirsi un varco.

Come nasce il desiderio di “occuparsi della musica degli altri”?
La musica ha rappresentato per me un rifugio e, allo stesso tempo, uno spazio in cui sentirmi libero. Nei primi anni del 2000 ho creato Circuito Sonoro, una delle prime webzine dedicata alla scena musicale indipendente italiana. Giornalmente ricevevo moltissimi promo di artisti di ogni dove, gente che mi mandava le proprie registrazioni nella speranza di trovare visibilità. In questa marea di materiale vi erano dei dischi bellissimi, che dovevano avere il loro giusto spazio. Così sono iniziate le prime collaborazioni e le mie prime esperienze come discografico.

Il catalogo della Riff Records sembra piuttosto diversificato, cosa accomuna le diverse produzioni?
Riff Records è lo specchio dei miei gusti musicali, che sono davvero variegati e spaziano tra generi e atmosfere molto diverse. Nel catalogo Riff si possono trovare band più estreme, cantautori e musica elettronica: ciò che accomuna tutti i progetti è l’attitudine con cui gli artisti portano avanti la loro musica. Dentro sono tutti rock’n’roll.

Che dire delle collaborazioni con artiste e artisti della nostra regione?
In questi vent’anni di attività ho avuto la fortuna di collaborare con moltissimi musicisti locali. Il primo disco pubblicato da Riff è stato quello dei La Pelle, band rock-stoner di Bolzano. Oggi invece nel roster ci sono i progetti di Gloria Abbondi e Peter Burchia, entrambi artisti del territorio. Proprio di Burchia è in uscita un EP che merita di non essere perso.

Sfogliando il catalogo di Riff Records noto che non c’è spazio solo per la musica, ma anche per le parole.
Vero. Ho pubblicato anche tre libri, il primo sulla storia di Radio Tandem, il secondo sui dischi Made in Alto Adige mai pubblicati ufficialmente e l’ultimo contenente le migliori recensioni del sito Debaser, interessante fenomeno creato da due ragazzi altoatesini.
Dopo queste pubblicazioni, diciamo che ci ho preso la mano, dando vita alla casa editrice Edgar Libri. Questa però è un’altra storia...

Oltre alla musica folkloristica, esiste secondo lei un “South Tyrol Sound”?
Credo sia difficile etichettare la musica della nostra provincia. Ci sono tantissime proposte artistiche molto differenti l’una dall’altra, ma credo che questa eterogeneità sia un grande valore aggiunto.

Tiriamo in ballo il concetto di dovere, qualsiasi sia il motivo. Che tipo di musica si sente di dover pubblicare in questo momento della sua vita?
Soprattutto in questo ultimo periodo molti dei progetti che sto seguendo accomunano linguaggi diversi al loro interno. Ci sono pubblicazioni che coniugano musica e letteratura, altri che sono strettamente legati a performance artistiche e all’arte contemporanea.
Trovo ci sia la necessità di promuovere il bello e artisti che abbiano davvero qualcosa da dire, perché credo che il mainstream abbia decisamente perso questo obiettivo. È tutto creato per incassare il più possibile e nel più breve tempo possibile. Mi dispiace davvero molto, perché le major e le radio avrebbero il potere di promuovere ben altro rispetto a “sterili operazioni commerciali”, contribuendo a far crescere culturalmente il nostro Paese.

[Mauro Sperandio]

 

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