Sonny Underwood - una retrospettiva degli ultimi due decenni - Pubblicato da martin_inside

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  • Via Bottai 20, Bolzano, BZ
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Informazioni evento

Le forme, i colori e i diversi materiali vengono scelti attraverso le emozioni. E’ l’arte di Sonny Underwood. La mostra è allestita al secondo piano e racconta una retrospettiva delle creazioni degli ultimi due decenni realizzati proprio all’interno dell’atelier. “Siccome lo studio creativo è in chiusura per motivi di ristrutturazione ho voluto celebrare la fine dello studio creativo con una mostra dove presento le diverse epoche di ricerca artistica: dallo studio di semplici forme?in modo minimalista con materiale come il legno e metallo, alle sperimentazioni con materiali e oggetti riciclati come i pannelli di costruzione edilizia, colori accesi e tecniche sperimentali di resina” - così l’artista Underwood.

Sonny Unterholzer (nome d’ arte Sonny Underwood) è nata a Merano nel 1961 e successivamente cresciuta a Paierdorf nella casa natale dell’orientalista Jakop Philipp Fallmerayer. Già con il nonno (Otata) che era uno scultore intagliatore del legno scopriva il mondo creativo dei colori e della composizione. Nella sua gioventù ha avuto la grande fortuna di assistere l’ artista paesano Markus Vallazza apprendendo tante diverse tecniche e da lì l’introduzione nel mondo dell’arte. Dopo lo studio di design a Basilea nel 1985 è ritornata in Alto Adige dove ha lavorato come Art director da “Visual team” e successivamente curando personalmente gli allestimenti alla Thun, Dolfi, Zimmermann, Oberrauch Zitt, Giesswein, Thaler, Martin’s… Nell’anno 2009 un grave incidente stradale non le ha permesso più di lavorare per cui si è rifugiata nell’arte come unica salvezza possibile. Da quel momento la produzione di opere d’arte venne incrementata. Le sue opere sono state esposte in diversi locali come la “Mill” (Cermes), “Goldene Rose” (Chiusa), “Muflone Rosa” (Bolzano), al festival "Hospiz" nel 2019 (Egna) in una collaborazione multimediale con sirgulliver.art e altri.

L’amore è il sentimento che spicca di più, un grande quadro rosso realizzato con stoffa riciclata avvolge l’opera stessa come un abbraccio. L’emozione è la prima stima di motivazione per il flow creativo di Sonny. Così Undewood - “ascolto il mio istinto o “ich höre auf mein Bauchgefühl”, ascolto la mia pancia.” Materiali riciclati, pannelli di costruzioni, stoffe pure, frutta marcia essiccata, pelle di serpente e un mucchio di capelli hanno trovato una rinascita nelle sue opere propagando l’idea che con i rifiuti si possa creare arte.

Contatti :

Date e orari evento :

L'evento si tiene dal 14 Mag 2022 al 27 Mag 2022

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    La fotografia di Chiara Bettazzi esiste in una dimensione di prossimità con i linguaggi della scultura e dell’installazione, con cui condivide lo stesso vocabolario di oggetti del quotidiano che danno forma ai suoi soggetti. Nata come strumento di osservazione e controllo del processo installativo, essa acquisisce in seguito una sua autonomia, misurandosi in primis con il registro della natura morta. Le sue sono composizioni oggettuali, costruite inizialmente sul piano orizzontale come vanitas o assemblage di memoria surrealista, e poi debordate fuori dal tavolo, trovando altri piani di appoggio in materiali trovati nello studio – scalei, paraventi, strutture provvisorie – che definiscono traiettorie precarie attorno a cui l’agglomerato oggettuale assume nuove sembianze scultoree. 
Lo scatto fotografico coglie incontri effimeri tra oggetti in uno stato di transitorietà, destinati poi a ritornare nell’anonimato del quotidiano. È una dimensione performativa della fotografia, soprattutto quando l’artista ci mostra anche i gesti del disporre gli oggetti, le cadute accidentali: sulla soglia tra composizione e scomposizione, scena e retroscena, dove l’immagine riattiva continuamente il processo, restituendo all’oggetto la possibilità di una nuova forma, in costante trasformazione. Retroscena accosta una serie di fotografie recenti in cui ricorre l’elemento dello scaleo – emblema del processo di costruzione della scena – a una nuova installazione da cui la mostra prende il titolo: un intervento site-specific realizzato con i materiali di backstage provenienti dai magazzini di Foto Forum, resti di precedenti allestimenti. L’installazione si sviluppa in senso longitudinale, tagliando a metà lo spazio espositivo con una superficie architettonica fatta di aperture e stratificazioni, che diventano le tracce materiali di un tempo sedimentato. 
In questo contesto, l’artista invita il pubblico a muoversi nello spazio e a farsi parte della scena: osservatori-attori di un ambiente speculare e duplice, dove recto e verso tendono a coincidere. Nelle pieghe del tessuto e nei frammenti degli oggetti la memoria riaffiora come un archivio visivo, aperto a continue attività di scavo e ri-figurazione. Alessandra Tempesti Chiara Bettazzi nasce a Prato nel 1977, dove vive e lavora. La sua ricerca indaga una duplice dimensione: da un lato lo spazio e i luoghi e dall’altra una poetica dell’oggetto quotidiano, che si sviluppa tra accumulo e scarto. Nel 2015 crea un osservatorio sul recupero dell’archeologia industriale del territorio che prende il nome di Tuscan Art Industry, collaborando con storici dell’architettura, biologi ambientali, artisti, curatori e varie figure professionali. Le sue fotografie e le sue installazioni riflettono sull’ idea della trasformazione e si sviluppano a stretto contatto con il paesaggio industriale e urbano. Spesso i suoi lavori hanno un carattere site-specific, instaurando un dialogo molto forte con lo spazio e la luce naturale dei luoghi.
 Le sue opere sono presenti in collezioni pubbliche e private, tra cui: La Galleria Nazionale d’arte Moderna e Contemporanea di Roma, Casa Masaccio Centro per L’arte contemporanea, La Collezione Farnesina, Il Museo di Santa Maria della Scala, Castello di Ama e Villa Rospigliosi.
 Tra le principali mostre ricordiamo: BIENALSUR, Museo di Roma a Palazzo Braschi (2025); Panneggi, Lottozero, Prato (2025); Colorescenze, Centro Pecci, Prato (2024); Recap, Z2o Project, Roma (2024); TheTilt of Time, IED, Firenze (2023); Reverse, Tenuta Dello Scompiglio, Lucca (2023); Standby. Installation View, Museo Galileo e Murate Art District, Firenze (2023); Soggiorno, Villa Rospigliosi, Prato (2023); Rampa di Lancio, Peccioli, (2021), Surplace, Galleria Nazionale di Arte Moderna e Contemporanea, Roma (2022), A tutti gli effetti, Villa Romana, Firenze, (2020), Cabinet, progetto per Castello di Ama, Gaiole in Chianti, Siena (2019), Il Mondoinfine: vivere tra le rovine, Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, Roma (2018).
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    L’archeologia racconta la storia – ma a volte diventa essa stessa parte della storia. Tra il 1920 e il 1972, in Alto Adige, i diversi regimi politici utilizzarono ritrovamenti e scavi archeologici per legittimare le proprie ideologie. Così, mentre gli scienziati italiani di stampo fascista presentavano le testimonianze romane come prova delle radici latine della regione, i ricercatori nazionalsocialisti interpretavano i ritrovamenti preistorici come conferma di un presunto passato “germanico”. La scienza finì così nel vortice della politica: gli oggetti furono sovra interpretati in chiave ideologica, gli scavi trasformati in strumento di propaganda e la ricerca privata della sua autonomia. Le conseguenze di questo conflitto culturale si fecero sentire anche dopo la fine della seconda guerra mondiale. La mostra temporanea UNDER PROPAGANDA palesa questo complesso e controverso capitolo della storia dell’archeologia altoatesina. Per la prima volta numerosi reperti degli anni 1920–1972 vengono presentati al pubblico, riletti in chiave critica con criteri scientifici aggiornati. I documenti d’archivio e le postazioni interattive raccontano accanto ai reperti le pratiche di ricerca del passato. Per i più giovani è previsto un percorso “underground”: un’avventura che svela in oggetti appositamente selezionati storie inattese. Un’occasione per riflettere su come il passato sia stato strumentalizzato e per guardare con occhi nuovi le testimonianze archeologiche che ancora oggi hanno molto da raccontare. La mostra invita a riscoprire l’importanza di una ricerca libera e indipendente ricordandoci quanto possa essere stimolante osservare i reperti archeologici con occhi critici e consapevoli. Un ricco programma di attività e iniziative collaterali per adulti e bambini offre diversi modi di avvicinarsi alla mostra, pensati per differenti tipi di pubblico. La mostra si rivolge sia a un pubblico specializzato e interessato, sia al grande pubblico, ed è aperta da martedì 25 novembre 2025 fino a domenica 8 novembre 2026.
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Nicola L. dedica gran parte della sua vita – trascorsa tra Parigi, Bruxelles, Ibiza e New York – a un “ammorbidimento” degli spazi domestici e urbani, spinta dal desiderio di connettersi con altre persone e con ambienti in continuo cambiamento. Le sue sculture antropomorfe di grandi dimensioni, progettate come mobili funzionali, sono gli esempi più noti della sua riflessione umoristica e acuta sui ruoli di genere tradizionali e sui rapporti di potere quotidiani all’interno della sfera domestica. Confondendo i confini tra arte e vita, l’artista ha illuminato gli ambienti con lampade a forma di occhi e labbra e ha creato una vasta serie di “chaise longue” in forme morbide e flessibili, rappresentanti figure umane giganti, piedi e mani. Opere celebri come Little TV Woman: “I Am the Last Woman Object” (1969) o le Femmes Commodes (1969–2014) – armadi in legno dipinto a forma di silhouette femminili stilizzate, le cui parti del corpo si aprono come cassetti – offrono una critica audace all’oggettificazione della donna. Il suo leitmotiv di penetrare i confini imposti dalla società si manifesta con particolare evidenza nelle tele di grande formato, con teste, maniche o gambe di pantaloni. Conosciuti come “pénétrables”, questi lavori consentono alle persone di calarsi fisicamente e simbolicamente in altri corpi e ruoli – come quello del sole, della luna o del cielo – ed esprimono la visione olistica e non egocentrica del mondo, tipica di Nicola L. Questo concetto è stato ampliato in una serie di altre opere interattive in cui più partecipanti indossavano impermeabili, mantelli, tappeti e ambientazioni fittizie. L’esempio più significativo è la sua emblematica Fur Room (1970/2020), una ricostruzione della quale sarà accessibile in mostra. Una selezione di questi straordinari lavori è esposta in mostra insieme a documentazione d’archivio delle sue performance, che illustrano l’intento dell’artista di creare nuovi spazi di solidarietà per l’azione collettiva. Molte di queste opere partecipative, immersive e performative – come il fondamentale Red Coat (1969) – nascono dall’idea utopica dell’artista di generare un corpo collettivo, una “stessa pelle per tutte e tutti” – indipendentemente dalla classe sociale, dall’etnia, dal genere o da altri fattori troppo spesso alla base dell’esclusione sociale. La mostra mette inoltre in risalto la diversità della pratica artistica dell’artista, che spazia dai disegni ai romanzi grafici, dai collage ai film sperimentali. Alcune delle sue opere sono dedicate a figure influenti, tra cui l’attivista per i diritti civili Abbie Hoffman e altre voci fuori dal coro, come si nota nella serie Femmes Fatales (2006), collage su lenzuola che commemorano nove celebri donne la cui vita è stata tragicamente interrotta, tra cui Frida Kahlo, Marilyn Monroe e Billie Holiday. La retrospettiva riunisce oltre ottanta opere realizzate nell’arco di cinque decenni, all’interno di uno spazio espositivo progettato dallo Studio Manuel Raeder. Seguendo l’approccio giocoso e spaziale di Nicola L., la scenografia offre uno sguardo vivace sui luoghi dei suoi interventi: dalla dimensione domestica ai contesti urbani internazionali. Come parte della nuova linea di ricerca di Museion intitolata THE SOFTEST HARD, la mostra esplora l’arte come pratica urbana e sociale di resistenza non violenta. In un presente segnato da guerre, violenze diffuse e democrazie minacciate, la forza urgente delle forme di protesta morbide di Nicola L. si rivela nella sua opposizione radicale, lontana da una visione egocentrica del mondo, e nel suo ottimismo contagioso, sempre orientato alla ricerca di amore e connessione. Pubblicazione: La mostra è accompagnata da una monografia illustrata che raccoglie nuovi saggi critici e testi dedicati ai principali nuclei dell’opera dell’artista, pubblicata da Lenz Press, Milano, in collaborazione con le quattro istituzioni partner. Nicola L. Nata da genitori francesi a El Jadida, in Marocco, nel 1932, Nicola L. ha studiato presso l’École des Beaux-Arts e ha vissuto principalmente tra Parigi, Bruxelles, Ibiza e New York, fino alla sua morte a Los Angeles nel 2018. Negli ultimi anni, il suo lavoro è stato riscoperto attraverso una mostra personale al SculptureCenter di New York (2017) e incluso in importanti mostre collettive come Elles, Centre Pompidou, Parigi (2009); Liverpool Biennial (2014); The World Goes Pop, Tate Modern, Londra (2015); Made in L.A. 2020: A Version, Hammer Museum, Los Angeles; She-Bam Pow Pop Wizz! The Amazons of Pop, MAMAC, Nizza (2021); Future Bodies From a Recent Past – Sculpture, Technology, and the Body since the 1950s, Museum Brandhorst, Monaco di Baviera (2022); e HOPE (2023) a Museion. Le sue opere fanno parte di numerose collezioni pubbliche, tra cui Centre Pompidou, Parigi; Cooper Hewitt, Smithsonian Design Museum, New York; Design Museum Brussels; Frac Bretagne, Rennes; Gallery of Modern Art, Glasgow; MHKA, Anversa; MAMCO, Ginevra; e Museion, tra le altre istituzioni.

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