I volti di Piazza Erbe - Obstmarktgeschichten - Pubblicato da ale inside

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Informazioni evento

Traduzione italiana: Christian Grioni & Eleonora Larentis
Traduzione gardenese: Paul Demetz
Con Flora Sarrubbo, Antonia Tinkhauser, Paul Demetz & Stefano Pietro Detassis
Regia: Brigitte Knapp. Con l’amichevole collaborazione di: Elmar Dejaco, Awso Azhin Shafik e il banco di frutta LoLa!
Brigitte Knapp vive da oltre cinque anni in Piazza Erbe a Bolzano. Nel suo pezzo trilingue (tedesco, italiano, ladino) raffigura questa via come un luogo pieno di vita. Presta alla piazza più voci, liberamente ispirate a immagini, suoni e odori locali. Vengono alla ribalta i diversi volti della piazza - un caleidoscopio di storie e incontri particolari e divertenti. Si narrano le storie dell’indiano proprietario di un banco di frutta, della cameriera cinese e dell’immigrato africano clandestino. Un commercialista incontra un senzatetto. La giovane donna che vive nella piazza incontra il vecchio che cerca il suo piccione viaggiatore. Una signora bolzanina avvicina un intagliatore gardenese. E poi ci sono Anna e Mattia, una coppia mistilingue. In questo pezzo si parla di linguaggio, di comprensione, di convivenza. E ancora dello stimolante confronto con ciò che incontriamo oltre la porta di casa, della curiosità reciproca e dell’ironia verso se stessi.
L‘autrice
Brigitte Knapp, nota al pubblico del Carambolage soprattutto come membro di Improtheater Carambolage, è autrice ed attrice freelance. Con „Lauter als das Auge reicht“ ha festeggiato nel 2006 il debutto di un suo pezzo sul palcoscenico. Molti altri sono seguiti, tra cui diversi commissionati. Ci sono state inoltre produzioni radiofoniche e la pubblicazione di un audiolibro. Si è cimentata in svariate letture di prosa e poesia nell’ambito di concerti, eventi dedicati ad autori e festival letterari. Ha pubblicato in riviste e antologie. Tratta sempre argomenti che le stanno a cuore, mirando a coniugare emozioni e umorismo. Con "I volti di Piazza Erbe - Obstmarktgeschichten", scrive una dichiarazione d'amore alla sua città.

Contatti :

Date e orari evento :

L'evento si tiene dal 09 Ott 2014 al 11 Ott 2014

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    Gabriele Lavia, tra i più grandi maestri della scena teatrale, dirige e interpreta Re Lear, uno dei capolavori della drammaturgia shakespeariana che da oltre quattrocento anni custodisce le molteplici sfaccettature di un tempo ancora attuale. A più di 50 anni dal Re Lear di Giorgio Strehler che lo scelse per il ruolo di Edgar, in questa rilettura «composita, tra ragione e follia», è lo stesso Lavia a interpretare Lear, re potente che rinuncia al suo “essere” e consegna il regno nelle mani delle figlie, per tornare ad “essere” soltanto un padre. L’eterna tragedia del potere, dove si consuma la conflittualità del rapporto tra padri e figli/e, tra paternità ed eredità, irrompe sulla scena attraversata dal campionario di passioni, tradimenti e miserie dell’esistenza umana. Lavia definisce Re Lear una storia di perdite: perdita della ragione, perdita del Regno, perdita della fraternità. «Non resta che vivere in una tempesta. Ma la tempesta di Lear è la tempesta della sua mente […]. E ora vive il suo non-Essere nella Tempesta della mente, nella Tempesta che lo travolge. E tutti sono travolti. Tranne colui che più degli altri ha sofferto e può “essere-Re” della sofferenza come percorso di conoscenza» scrive Lavia nelle note di regia «“Essere o non essere” sono certamente le parole più importanti di tutto il Teatro Occidentale e, come sanno (quasi) tutti, le dice Amleto. Subito dopo “essere o non essere” Amleto dice: “Questa è la domanda”. Come se la vita di ogni uomo, non solo di Amleto, che ogni uomo lo sappia o no, non fosse altro che porsi questa domanda. Re Lear, invece, “nega” questa domanda e decide per il “Non essere”, non essere più Re. Dare via il proprio “essere” (il proprio regno) è come dare via la propria ombra (come nel famoso romanzo). Nel momento in cui Re Lear non è più Re è solo “Lear”. E che cos’è Lear se non è “più” Re? Non è che un “uomo”. Uno come tanti che non contano nulla. Non è che “nulla”. “Sono io Lear?…” si domanderà disperato». Gabriele Lavia, tra i più grandi maestri della scena teatrale, dirige e interpreta Re Lear, uno dei capolavori della drammaturgia shakespeariana che da oltre quattrocento anni custodisce le molteplici sfaccettature di un tempo ancora attuale. A più di 50 anni dal Re Lear di Giorgio Strehler che lo scelse per il ruolo di Edgar, in questa rilettura «composita, tra ragione e follia», è lo stesso Lavia a interpretare Lear, re potente che rinuncia al suo “essere” e consegna il regno nelle mani delle figlie, per tornare ad “essere” soltanto un padre. L’eterna tragedia del potere, dove si consuma la conflittualità del rapporto tra padri e figli/e, tra paternità ed eredità, irrompe sulla scena attraversata dal campionario di passioni, tradimenti e miserie dell’esistenza umana. Lavia definisce Re Lear una storia di perdite: perdita della ragione, perdita del Regno, perdita della fraternità. «Non resta che vivere in una tempesta. Ma la tempesta di Lear è la tempesta della sua mente […]. E ora vive il suo non-Essere nella Tempesta della mente, nella Tempesta che lo travolge. E tutti sono travolti. Tranne colui che più degli altri ha sofferto e può “essere-Re” della sofferenza come percorso di conoscenza» scrive Lavia nelle note di regia «“Essere o non essere” sono certamente le parole più importanti di tutto il Teatro Occidentale e, come sanno (quasi) tutti, le dice Amleto. Subito dopo “essere o non essere” Amleto dice: “Questa è la domanda”. Come se la vita di ogni uomo, non solo di Amleto, che ogni uomo lo sappia o no, non fosse altro che porsi questa domanda. Re Lear, invece, “nega” questa domanda e decide per il “Non essere”, non essere più Re. Dare via il proprio “essere” (il proprio regno) è come dare via la propria ombra (come nel famoso romanzo). Nel momento in cui Re Lear non è più Re è solo “Lear”. E che cos’è Lear se non è “più” Re? Non è che un “uomo”. Uno come tanti che non contano nulla. Non è che “nulla”. “Sono io Lear?…” si domanderà disperato». di William Shakespeare traduzione Angelo Dallagiacoma, Luigi Lunari regia Gabriele Lavia scene Alessandro Camera costumi Andrea Viotti luci Giuseppe Filipponio musiche Antonio Di Pofi suono Riccardo Benassi con Gabriele Lavia e con (in o.a.) Giovanni Arezzo, Giuseppe Benvegna, Eleonora Bernazza, Beatrice Ceccherini, Federica Di Martino, Ian Gualdani, Luca Lazzareschi, Mauro Mandolini, Andrea Nicolini, Giuseppe Pestillo, Gianluca Scaccia, Silvia Siravo, Lorenzo Tomazzoni, Alessandro Pizzuto produzione Teatro di Roma – Teatro Nazionale, Effimera s.r.l, LAC – Lugano Arte e Cultura durata: 210 minuti incluso un intervallo

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