BZ Danza: Claudia Catarzi - 14.610 - Pubblicato da FondazioneHaydnStiftung

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Un corpo solo, ridotto all’essenziale, in uno spazio limitato era la sfida che Claudia Catarzi affrontava nel suo successo 40.000 centimetri quadrati. Ora, nel suo nuovo assolo 14.610, la coreografa e performer toscana si confronta con una superficie sempre ristretta, ma inclinata; una rampa intorno alla quale il pubblico si posiziona e la osserva da un’altra prospettiva. Su questo piano obliquo Catarzi costruisce una partitura di movimenti e gesti che nulla hanno di acrobatico. In condizione di comprensibile vulnerabilità, il suo corpo è teso e scultoreo, si definisce nel gesto ma anche in salti. Come è stato scritto “in 14.610 c’è qualcosa di trionfale: la soddisfazione di essere arrivati in cima a quel piano inclinato, come fosse una montagna, mette i brividi. Non solo perché è facile cadere, ma forse perché da questo apice non si potrà fare altro che scendere”.

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    Gabriele Lavia, tra i più grandi maestri della scena teatrale, dirige e interpreta Re Lear, uno dei capolavori della drammaturgia shakespeariana che da oltre quattrocento anni custodisce le molteplici sfaccettature di un tempo ancora attuale. A più di 50 anni dal Re Lear di Giorgio Strehler che lo scelse per il ruolo di Edgar, in questa rilettura «composita, tra ragione e follia», è lo stesso Lavia a interpretare Lear, re potente che rinuncia al suo “essere” e consegna il regno nelle mani delle figlie, per tornare ad “essere” soltanto un padre. L’eterna tragedia del potere, dove si consuma la conflittualità del rapporto tra padri e figli/e, tra paternità ed eredità, irrompe sulla scena attraversata dal campionario di passioni, tradimenti e miserie dell’esistenza umana. Lavia definisce Re Lear una storia di perdite: perdita della ragione, perdita del Regno, perdita della fraternità. «Non resta che vivere in una tempesta. Ma la tempesta di Lear è la tempesta della sua mente […]. E ora vive il suo non-Essere nella Tempesta della mente, nella Tempesta che lo travolge. E tutti sono travolti. Tranne colui che più degli altri ha sofferto e può “essere-Re” della sofferenza come percorso di conoscenza» scrive Lavia nelle note di regia «“Essere o non essere” sono certamente le parole più importanti di tutto il Teatro Occidentale e, come sanno (quasi) tutti, le dice Amleto. Subito dopo “essere o non essere” Amleto dice: “Questa è la domanda”. Come se la vita di ogni uomo, non solo di Amleto, che ogni uomo lo sappia o no, non fosse altro che porsi questa domanda. Re Lear, invece, “nega” questa domanda e decide per il “Non essere”, non essere più Re. Dare via il proprio “essere” (il proprio regno) è come dare via la propria ombra (come nel famoso romanzo). Nel momento in cui Re Lear non è più Re è solo “Lear”. E che cos’è Lear se non è “più” Re? Non è che un “uomo”. Uno come tanti che non contano nulla. Non è che “nulla”. “Sono io Lear?…” si domanderà disperato». Gabriele Lavia, tra i più grandi maestri della scena teatrale, dirige e interpreta Re Lear, uno dei capolavori della drammaturgia shakespeariana che da oltre quattrocento anni custodisce le molteplici sfaccettature di un tempo ancora attuale. A più di 50 anni dal Re Lear di Giorgio Strehler che lo scelse per il ruolo di Edgar, in questa rilettura «composita, tra ragione e follia», è lo stesso Lavia a interpretare Lear, re potente che rinuncia al suo “essere” e consegna il regno nelle mani delle figlie, per tornare ad “essere” soltanto un padre. L’eterna tragedia del potere, dove si consuma la conflittualità del rapporto tra padri e figli/e, tra paternità ed eredità, irrompe sulla scena attraversata dal campionario di passioni, tradimenti e miserie dell’esistenza umana. Lavia definisce Re Lear una storia di perdite: perdita della ragione, perdita del Regno, perdita della fraternità. «Non resta che vivere in una tempesta. Ma la tempesta di Lear è la tempesta della sua mente […]. E ora vive il suo non-Essere nella Tempesta della mente, nella Tempesta che lo travolge. E tutti sono travolti. Tranne colui che più degli altri ha sofferto e può “essere-Re” della sofferenza come percorso di conoscenza» scrive Lavia nelle note di regia «“Essere o non essere” sono certamente le parole più importanti di tutto il Teatro Occidentale e, come sanno (quasi) tutti, le dice Amleto. Subito dopo “essere o non essere” Amleto dice: “Questa è la domanda”. Come se la vita di ogni uomo, non solo di Amleto, che ogni uomo lo sappia o no, non fosse altro che porsi questa domanda. Re Lear, invece, “nega” questa domanda e decide per il “Non essere”, non essere più Re. Dare via il proprio “essere” (il proprio regno) è come dare via la propria ombra (come nel famoso romanzo). Nel momento in cui Re Lear non è più Re è solo “Lear”. E che cos’è Lear se non è “più” Re? Non è che un “uomo”. Uno come tanti che non contano nulla. Non è che “nulla”. “Sono io Lear?…” si domanderà disperato». di William Shakespeare traduzione Angelo Dallagiacoma, Luigi Lunari regia Gabriele Lavia scene Alessandro Camera costumi Andrea Viotti luci Giuseppe Filipponio musiche Antonio Di Pofi suono Riccardo Benassi con Gabriele Lavia e con (in o.a.) Giovanni Arezzo, Giuseppe Benvegna, Eleonora Bernazza, Beatrice Ceccherini, Federica Di Martino, Ian Gualdani, Luca Lazzareschi, Mauro Mandolini, Andrea Nicolini, Giuseppe Pestillo, Gianluca Scaccia, Silvia Siravo, Lorenzo Tomazzoni, Alessandro Pizzuto produzione Teatro di Roma – Teatro Nazionale, Effimera s.r.l, LAC – Lugano Arte e Cultura durata: 210 minuti incluso un intervallo
  • Al mercatino di Natale si fanno grandi incassi, le locande sono al completo e una famiglia di rifugiati del Medio Oriente viene sistemata in una stalla, sopra la quale cantano gli angeli. Ah, se all’epoca ci fosse già stato il teatro d’improvvisazione! I pastori avrebbero messo in scena un musical con lieto fine per il Bambino Gesù, Maria e Giuseppe sarebbero stati travolti da una tempesta d’amore e il bue e l’asinello sarebbero stati sistemati in una piccola fattoria. Ma per le belle storie non è mai troppo tardi! Basta venire a teatro: qui la vita si riempie di messaggi gioiosi. E chissà, magari entrerà in scena la Befana su una slitta volante…
  • Beatrice Arnera torna sul palco con Intanto ti calmi, uno show irriverente che fonde stand-up, prosa e musica dal vivo. Tra paure esistenziali, amicizie spietate e disastri sentimentali, lo spettacolo esplora il caos quotidiano con sarcasmo e grinta. Una performance audace e fuori dagli schemi, dove la strafottenza diventa arte e la fragilità, comicità.

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