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Dorian Gray è un giovane ossessionato dalla paura di perdere la bellezza, l’unica risorsa per cui valga la pena vivere. Grazie a un sortilegio riesce a ottenere che il tempo non tocchi il suo corpo, ma solamente il suo ritratto. Ma a quale prezzo? L’opera-capolavoro di Oscar Wilde, manifesto del decadentismo e dell’estetismo, fra i più raffinati ed impetuosi romanzi mai scritti, è il punto di partenza per l’ultima opera della trilogia commissionata dalla Fondazione Haydn a compositori dell’Euregio. Matteo Franceschini, che ne cura la musica, e Stefano Simone Pintor, a cui sono affidati libretto e regia, portano nell’oggi, in una società contemporanea frammentata e fluida, investita da una profonda crisi di valori, la riflessione di Wilde sulle derive di un’umanità di cui lo stesso Dorian Gray non è che lo specchio. Il risultato è un’opera corale, in cui ciascun personaggio (e, con essi, lo spettatore) proietta i propri demoni e desideri più indicibili e reconditi in Dorian Gray, che ne diviene così il ritratto vivente. Attraverso un linguaggio da narrazione seriale, una pluralità di voci ed eventi si intrecciano ruotando attorno allo stesso racconto, ripercorso ogni volta in modo diverso e attraverso una moltitudine di punti di vista.