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«La prima generazione ha lavorato. La seconda ha risparmiato. La terza ha sfondato. Poi noi. Padri che credevano infinita la ricchezza raggiunta ma che si sono bruscamente risvegliati dal Sogno Nordestino. Poi noi. Figli che si chiedono: siamo vittime o privilegiati? Siamo vittime del privilegio» commentano Marta e Diego Dalla Via. È attorno a questo rapporto tra generazioni che nasce lo spettacolo Mio figlio era come un padre per me dei fratelli Dalla Via, fiaba tragicomica ambientata in un Veneto che fa i conti con la fugacità dei miracoli economici. Tutto comincia con due fratelli annoiati che decidono di assassinare i genitori. E qual è il modo migliore per uccidere un genitore? Ammazzargli il figlio e farlo morire di crepacuore. Questo il primo dei tanti paradossi che accompagnano lo spettatore in una riflessione surreale e autentica del presente. Quanto dura un’epoca ai tempi della polenta istantanea? Un anno, un mese, forse meno. Forse solo 24 ore, come in questo racconto, fatto di euforia e depressione, di business class e low cost, di obesi e denutriti. I protagonisti sono simbolo di una popolazione intera che soffre di ansia da prestazione, condannata ad una competizione perpetua che non ha traguardo. Attrice e formidabile caratterista, oltre a collaborare spesso con Natalino Balasso, Marta Dalla Via è spesso autrice degli spettacoli che interpreta. La commedia nera Mio figlio era come un padre per me, che ha scritto e interpretato assieme al fratello Diego, con ironia raggelante e con punte di cinismo, affronta la questione del suicidio come scelta estrema e traccia una sorta di cupa e grottesca parabola sul conflitto generazionale. Con uso arguto dell’italiano regionale i due attori riescono a dar profondità e leggerezza a una vicenda sconcertante, ma allo stesso tempo esemplare, in cui il senso di colpa viene distribuito tra le generazioni. «Noi e poi noi e poi noi. Siamo nati per riscrivere le nostre ultime volontà».