I divertimenti tristi di Enrico De Zordo - “Quando il pensiero ha i pidocchi, si gratta come tutti quelli che li hanno”
Divertimenti tristi di Enrico de Zordo appartiene a quel genere di libri che si comprano per se stessi, più che per farne dono.
L' “oggetto libro” che “Edizioni alphabeta” commercializza incellophanato, chiede al lettore di essere spacchettato nel solitario agio di casa propria, per familiarizzare con la forma (letteraria) e il contenuto (ameno, crudo, urticante). Le risposte dell’autore – antidivo sincero, ma allo stesso tempo sornione – offrono un assaggio di questa lettura da centellinare.
Penso che a chi scrive siano date solo due possibilità: coprirsi con la finzione o spogliarsi per la verità. Quanto svelano di lei i suoi Divertimenti tristi?
Molto, temo; ma contro la mia volontà. La letteratura che mi interessa è impersonale. Gadda diceva che i pronomi di persona sono i pidocchi del pensiero: aveva in mente soprattutto l'io, “il più lurido dei pronomi”; ma non sottovaluterei il noi, molto insidioso. “Quando il pensiero ha i pidocchi, si gratta come tutti quelli che hanno i pidocchi”: lo faccio anch'io, prima di mettermi a scrivere. Ogni tanto l'operazione riesce, a volte no. I pronomi personali, una volta cacciati via, ritornano subito tra i capelli del pensiero, creando prurito e casini.
In “Stare al barlume” scrive: “Nessuna simpatia per l'ingordigia dello Stato nazione, nessuna per i veleni delle minoranze”. Crede che si possa parlare di Alto Adige oltre la questione altoatesina?
Sì, è possibile: la letteratura può raccontare quasi tutto perché non conta quasi nulla. Ma occorre essere realisti: il repertorio di immagini generato dal “grande racconto della separazione etnica” è inesauribile e seducente, per cui i titoli più probabili dei prossimi anni sono Convivenza liquida e Il disagio di Dracula nel mercato delle piaghe finte. Se poi, oltre a quelli che ci sono già, arriveranno libri in grado di aggiungere nuove figure all'immaginario locale, saranno accolti dall'applauso sincero di cinquanta lettori entusiasti.
Gli scaffali dedicati alla letteratura altoatesina di lingua italiana si mostrano semideserti. Ogni nuovo titolo è pressoché fondamentale. Sente una qualche responsabilità? Vive consapevolmente questo ruolo?
No, ci si sente responsabili se si deve rispondere degli effetti di qualcosa e Divertimenti tristi è un congegno improduttivo votato all'inutilità, alla lentezza e alla bellezza sobria delle cose inutili e lente. Potrei anche dire che avendolo scritto mi sento responsabile, ma dovrei aggiungere che mi sento più responsabile quando giro in bicicletta in un paese disabitato. In quei casi rischio di spaventare un gatto che attraversa la strada, mentre con il mio libro non sono in grado di farlo. Ecco, forse la definizione migliore di Divertimenti tristi è questa: è un libro che non spaventa i gatti, con qualche errore e un po' di poesia. [M.S.]